ATC-L'interruttore che spegne ogni comunicazione con Dio

Ma come si arriva alla “volontarietà” della divisione con i fratelli e con Dio quando si fa vita comunitaria? Certamente compiendo tutta una serie di negligenze o di errori veri e propri, senza soluzione di continuità e sempre più gravi, che portano ad acuire progressivamente le distanze con i fratelli e quindi con Dio stesso.

Dobbiamo però fare una premessa: secondo alcune indicazioni di antropologia cristiana, la salute spirituale dell'uomo è strettamente collegata alla sua salute psicofisica, anche se non in modo assolutamente necessario (non ci sono “regole” perché ogni persona è unica e irripetibile). Questo significa che un problema spirituale può essere innescato anche da un disagio psicologico e infatti, il più delle volte, la tendenza alla divisione con gli altri nasce da una profonda e inconsapevole divisione con sé stessi dovuta a ferite emozionali ricevute in età infantile. Queste ferite, non riconosciute e non elaborate, portano inevitabilmente a carenze psicologiche e spirituali più o meno gravi che rendono estremamente difficoltosa ogni forma di sana relazione con gli uomini e con Dio.

Ma è necessaria una considerazione: secondo il C.C.C., Dio, creandoci a sua immagine e somiglianza, ci ha dotato della possibilità di avvalerci di alcune sue prerogative, prima tra tutte la libertà, e ci ha resi anche “capaci di conoscerci” (articolo 1, n° 357).

Questo vuol dire che è possibile, sempre, riconoscere, accettare, accogliere e presentare a Gesù le proprie ferite, le proprie inclinazioni al peccato. Quando questa operazione è fatta in Spirito e Verità, non può che unirci sempre di più a Gesù e ai fratelli nei quali possiamo riconoscere la nostra comune condizione di fragilità, e su ogni fragilità ciascuno potrà sperimentare la manifestazione della Potenza di Cristo, secondo l’insegnamento di Paolo: “Quando sono debole è allora che sono forte”. (2 Cor. 12,10)

Questa consapevolezza acquisita con la grazia dello Spirito non ci porterà ad un cambiamento immediato ma ci farà fare gradualmente esperienza di tutto l’amore incondizionato di Gesù proprio a causa e nonostante queste fragilità, per cui la debolezza di ciascuno di noi, che potrebbe diventare peccato, diventa invece risorsa per la nostra vita e per quella delle nostre comunità.

Tratteremo allora l’argomento di alcune tra le divisioni possibili all’interno di una comunità carismatica, alla luce di queste riflessioni ma avvalendoci anche di quanto sostenuto da Dietrich Bonhoeffer in “Vita comune”, scritto nel 1939, a cui rimandiamo per ulteriori approfondimenti.

C'è un punto fondamentale da cui partire: la comunità cristiana è una realtà creata da Dio in Cristo, a cui ci è “donato” di poter partecipare.

Questo significa che siamo stati chiamati per grazia, che questa grazia non è stata donata a tutti, e che se il Signore ci chiama alla comunità è attraverso di essa che noi troviamo la strada per la nostra santità personale.

Quanto più chiara e immediata diventa la nostra consapevolezza che il fondamento e la forza della nostra comunione consistono solo in Gesù Cristo, tanto più velocemente si rasserena il nostro modo di vivere la comunità.

E avremo bisogno presto di essere rassicurati, perché è la pura grazia di Dio a non permetterci di vivere a lungo nell'ideale e di sperimentare la delusione dopo la gioia della chiamata, con tutti gli aspetti spiacevoli e negativi che vi sono connessi. Tutto questo si rende necessario per “costruire la casa sulla roccia” piuttosto che sulla sabbia, infatti una comunità che non impara a sopportare e a sopravvivere alla delusione va in rovina, perché chi ama la propria idea, il proprio “sogno” di comunione cristiana più della comunione effettiva possibile, diventa elemento distruttore di ogni comunità, anche se è una persona piena di buone intenzioni.

Succede, infatti, che nel momento in cui si comincia a confrontare il proprio ideale di comunità con la realtà, verrà quasi automatico giudicare e condannare i fratelli, se non ci fermiamo a considerare che questi fratelli, proprio con i loro difetti, i loro limiti, sono stati chiamati per grazia a fare comunità con ciascuno di noi, così come noi stessi, con tutte le nostre fragilità e la nostra storia, siamo stati scelti per grazia a fare comunità con loro.

Allora l'unico garante di questa unione, dal punto di vista umano a volte assolutamente improbabile, è solo Lui, Gesù.

Ecco perché il momento della più profonda delusione, terreno fertile per ogni divisione, può diventare invece un impareggiabile momento di salvezza quando riusciamo a capire fino in fondo che con questi nostri  fratelli, con i quali non siamo in grado di condividere nulla delle nostre idee, viviamo la comunità solo grazie a quell'unica Parola ed azione che ci unisce nella verità di quello che siamo: tutti fratelli perché nella stessa misura salvati dall'amore e per la misericordia di Gesù, ma anche fratelli speciali perché chiamati a condividere una speciale relazione comunitaria.

Comprendiamo anche che diventa necessario lodare e ringraziare il Signore per questa nostra realtà così particolare, anche se non si tratta di una grande esperienza, ma piuttosto di un aggregato di debolezze, di poca fede, di difficoltà, niente di corrispondente a quanto ci aspettavamo, perché solo così Dio potrà far “crescere” la nostra comunione in Spirito e verità, fino a raggiungere tutta la ricchezza che è stata già predisposta in Gesù Cristo. È il deserto della nostra umanità che il Signore ci fa sperimentare per poterci finalmente dire parole d’amore, come ci insegna Osea.

Ecco perché durante tutto il nostro cammino, prima di ogni cosa, abbiamo il dovere di chiedere al Signore di guarirci dalla nostra incredulità, di farci ben consapevoli delle nostre ferite o delle nostre colpe, per ottenere la guarigione per noi e per farci intercessori per questi nostri fratelli, per pregare e continuare a sperare per la nostra comunità, voluta e fondata da Dio Padre esattamente così com’è, fratelli problematici compresi.

E qui s’ inserisce quanto detto in premessa, perché in ognuno di noi rimarrà sempre traccia del bambino ferito tutte le volte che si è sentito giudicato e non adeguatamente riconosciuto e amato per quello che era. Il fratello problematico probabilmente è stato un bambino ferito diventato adulto sentendosi ancora sempre giudicato e condannato, che ha fatto radicare in sé l'idea di valere poco, che si è inutilmente sforzato di ritagliarsi schemi comportamentali sempre più lontani dalla sua vera natura e sempre più simili a quelli che in età infantile ha sperimentato essere graditi alle figure adulte di riferimento.

Quando queste ferite non elaborate e non guarite non sono neanche riconosciute e accolte, porta a non essere in grado di leggere la realtà, diventa uno stile di vita che strangola sempre di più, si diventa persone intolleranti e poco pazienti, per niente comprensive, che giudicano e continuano a condannare prima di tutto se stesse, perché si sentiranno sempre inadeguate o indegne, e che finiranno col condannare gli altri e finanche Dio.

Perché non conoscono altro modo di relazionarsi, neanche con sé stesse, se non il giudizio, e il giudizio è la morte per ogni tipo di relazione.

Ma abbiamo anche detto che a ciascuno è dato di potersi risollevare da qualsiasi inferno con la grazia dello Spirito, nelle forme più varie che userà per poter agire, anche e soprattutto attraverso i fratelli. Quando questi nostri fratelli problematici, e noi stessi, per grazia, avremo imparato a confidare totalmente in Cristo, saremo finalmente liberi dalla necessità di dimostrare quanto siamo bravi, liberi dall'ansia da prestazione ed impareremo ad accettare noi stessi e i nostri fratelli, ma avremo anche modo di vedere e vivere le meraviglie della grazia di Dio.

Il percorso è complesso, perché possiamo essere radicalmente convinti e ben disposti a quanto fin qui affermato, ma siamo comunque “impastati” di mondo e dobbiamo fare i conti con le nostre ferite, sempre pronte a riprendere a sanguinare e con la facilità con cui possiamo tornare a vivere quella che è una realtà spirituale voluta da Dio come se fosse un’aggregazione di uomini accomunati solo da un interesse condiviso, dove diventare leader e assoggettare gli altri è tentazione costante perché nel mondo è una  prassi assolutamente consueta.

È dal perpetrare di queste condizioni che scaturisce la possibilità del peccato vero e proprio, quindi noi abbiamo necessità di una continua e serena vigilanza su di noi, evitando però di cadere anche qui nella trappola dell’ansia e confidando sempre nella misericordia di Gesù.

Ma abbiamo degli strumenti per verificare il nostro stato di “salute” e sono, come sappiamo, i frutti dello Spirito.

Uno dei frutti di un autentico amore spirituale è dato dall'affidare il fratello a Cristo e, qualunque cosa dica o faccia, dallo scegliere di parlare a Gesù del fratello, piuttosto che parlare al fratello in nome di Gesù, perché la via più breve verso l'altro passa attraverso la preghiera e attraverso l'esercizio di una sana disciplina della lingua.

Questo non comporta l’evitare la correzione fraterna, che rientra certamente tra i nostri doveri di fraternità quando il peccato del fratello è evidente, ma questa correzione deve necessariamente essere preceduta dalla preghiera personale e d’ intercessione, nell’umile convincimento che non esiste un solo uomo che non abbia bisogno, di tanto in tanto, di consolazione e di ammonimento.

La prassi della preghiera per sé e per gli altri ci porterà, quasi senza accorgercene, a smettere di tenere d'occhio continuamente gli altri giudicandoli ma anche, finalmente, a smettere di giudicare noi stessi, cominciando a volerci bene, accettando quello che siamo. In questo modo tutta la gamma delle differenze tra le persone che costituiscono una comunità non sarà più un motivo per parlare e condannare, ma permetterà a ciascuno di svolgere nel modo migliore possibile il suo servizio.

Sulla base di queste considerazioni comprendiamo allora che l'interruttore di ogni comunicazione con Dio lo accende l'infinita gamma di piccole e grandi disattenzioni lasciate accadere nei confronti di sé stessi e dei fratelli per superficialità, per pigrizia, per stanchezza, il permettere che lo spirito di giudizio e di suscettibilità, sempre latente in noi, prenda il posto del più faticoso esercizio dell'ascolto e del sostegno.

Inoltre siamo molto pericolosamente vicini al peccato quando non permettiamo che la Parola di Dio, attorno alla quale siamo costituiti come comunità, penetri e agisca nel profondo del nostro cuore e diriga totalmente la nostra vita, ma lasciamo che ci scivoli addosso, dopo esserci accontentati, magari, di un breve momento di coinvolgimento emotivo.

Lo Spirito Santo ci guidi alla verità del nostro essere, ci educhi alla carità, ci prepari al servizio possibile e non a quello sognato e ci insegni a rispondere alla nostra chiamata con coraggio, generosità e gratitudine.


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