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I pericoli dello Yoga

 La parola yoga letteralmente significa “giogo – attacco per gli animali da tiro”.

Nel Rgveda Samhita, il più antico libro dei Veda, al v. 46,1 si legge: “aggiogare se stesso come un cavallo disposto ad obbedire”.
Da qui il significato di yoga come insieme di tecniche, anche meditative, tese ad aggiogare – governare i sensi e i vissuti da parte della coscienza per consentire l’unione con la Realtà ultima, con il divino, e quindi anche il benessere psico-fisico e la pace interiore.
In pratica, gli esercizi psichici e corporali dovrebbero permettere all’individuo di uscire dalla realtà concreta per raggiungere l’Unità essenziale e fondersi con essa.
Oggi però, nel linguaggio corrente, con yoga si intende un variegato insieme di attività che comprendono ginnastiche del corpo e della respirazione, discipline psicofisiche finalizzate alla meditazione e al rilassamento, con l’obiettivo di liberare l’anima da tutto il suo peso terreno.
La diversità dei metodi applicati contraddistingue le diverse scuole.
Il Mantra-yoga, per esempio, usa la ripetizione continua di formule, cosiddette “Mantra”, che dovrebbero permettere a chi lo pratica di identificarsi con potenze divine come gli dei Vishnu, Shiva ecc.
Lo Hatha-yoga predilige le tecniche corporali con alcune posizioni definite “Asanas”, o le tecniche respiratorie, dette “Pranayama”, nelle quali il rallentamento del ritmo respiratorio deve condurre ad un rallentamento del pensiero e ad uno svuotamento della coscienza. Gli esercizi mirano a mantenere elastiche le articolazioni, ad ottenere un rilassamento benefico che aiuti le persone ad affrontare meglio lo stress e a condurre una vita più serena.
Queste tecniche permettono di stimolare l’attività dei centri di energia (chakra) per far emergere la dea Kundalini.
Dei chakra abbiamo già parlato nei precedenti articoli, la Kundalini invece sarebbe “un serpente femmina (o una dea coricata) che dorme alla base della colonna vertebrale. Quando viene risvegliata per mezzo dello yoga, si innalza lungo la colonna vertebrale, aprendo i chakra, e conduce all’unione con Brahman…” (Claudia Guiati, “I cristiani e lo yoga”).
Già questo ci introduce ad una prima fondamentale considerazione che possiamo sintetizzare nell’affermazione di Julian Porteous nella prefazione a “Yoga, Tai Ki, Reiki: A Guide for Christians” di Max Sculley: “Queste tecniche sono ampiamente raccomandate come utili per il fitness e per il relax e, a prima vista, pochi avrebbero elementi per giudicarle male. Tuttavia, il mondo in cui viene introdotto il neofita è avverso alla fede cristiana. Se da un lato le pratiche in questione, ad un approccio superficiale, promettono di essere benefiche, in realtà esse sono «un cavallo di Troia a causa della loro dannosa infiltrazione spirituale»”.
Perché “nella sua interpretazione più spirituale, lo yoga delle origini può essere considerato come un’interiorizzazione del rito sacro di ascesa dal molteplice all’Uno. Se il sacerdote della liturgia vedica operava, infatti, l’ascesa attraverso un rito esteriore, gli yogin (cioè coloro che praticano lo yoga; se donne si chiamano yogini), nell’idea di una sostanziale corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, tra uomo e universo, attuarono questo cammino di reintegrazione attraverso un’immersione nelle profondità della coscienza, alla ricerca della propria natura fondamentale, permanente e indifferenziata (Atman), che, secondo un’equazione che rappresenta uno dei cardini di gran parte del pensiero indiano, coincide con l’essenza permanente e indifferenziata dell’universo (il Brahman). Per ottenere quest’alto scopo, gli yogin finalizzarono la disciplina del corpo e della mente al raggiungimento di stati di coscienza che permettessero il superamento dei limiti dell’io e dei condizionamenti che impediscono all’essere umano il riconoscimento della realtà ultima. Il significato profondo di quest’antica disciplina è di condurre l’uomo in un lungo percorso di autoconoscenza consapevole affinché il microcosmo umano si possa fondere col macrocosmo universale.
Nella filosofia Yoga, Il panteismo, la dottrina della reincarnazione e l’idea che questa vita mortale non valga la pena di essere vissuta sono solo alcuni degli aspetti anti-cristiani” (cit. da “Il GRIS risponde - Perché un cristiano non dovrebbe praticare lo yoga?”, tratto da “L’Ancora on line” del 3 febbraio 2016).

“L’uomo non è una scintilla della divinità alla quale semplicemente riagganciarsi in quanto essere già divino, come afferma la spiritualità esoterica e panteista” (Laura Casali, “Guarire con Dio”).

IL SUPPORTO SCIENTIFICO

Oggi ci troviamo di fronte ad una gamma notevole di scuole, correnti, tecniche definite “yoga”, la maggior parte decisamente distanti dalla filosofia yoga, e non solo quella delle origini. Un nome per tutte: “Kataria” che usa la risata come “respirazione yogita”.
Diventa un impegno oneroso e probabilmente inutile tentarne una classificazione, cominciamo comunque col dire con Singh ed Ernst (“Aghi, pozioni e massaggi: la verità sulla medicina alternativa” – Rizzoli 2008) che lo yoga, in tutte le sue forme, non è esattamente una pratica terapeutica, “racchiude un intero stile di vita, comprese dieta e meditazione, si è rivelato efficace nella riduzione dei rischi cardiovascolari… tuttavia non esiste alcuna prova significativa che le terapie ginniche alternative procurino benefici maggiori rispetto a molte forme di ginnastica convenzionale”.

COMPATIBILITÀ CON LA FEDE CRISTIANA

Papa Benedetto XVI nel 2005 disse: “C’è uno yoga ridotto ad una specie di ginnastica: si offre qualche elemento che può dare un aiuto per il rilassamento del corpo. Bene, se lo yoga è ridotto realmente ad una ginnastica si può anche accettare, nel caso di movimenti che hanno un senso esclusivamente fisico. Ma deve essere realmente ridotto, ripeto, a un puro esercizio di rilassamento fisico, liberato da ogni elemento ideologico. Su questo punto si deve essere molto attenti per non introdurre in una preparazione fisica una determinata visione dell’uomo, del mondo, della relazione fra uomo e Dio. […]
Nel momento in cui compaiono elementi che pretendono di guidare ad una “mistica”, diventano già strumenti che conducono ad una direzione sbagliata” (tratto da “Intervista al Cardinal Ratzinger: 30 domande” all’interno di “Una voce grida” n. 9 – marzo 1999).

Nella Lettera dei Vescovi alla Chiesa cattolica del 15 ottobre 1989 su alcuni aspetti della meditazione cristiana (Congregazione per la Dottrina della Fede) si legge: “Il contatto sempre più frequente con altre religioni e con i loro differenti stili e metodi di preghiera, ha condotto negli ultimi decenni molti fedeli a interrogarsi sul valore che possono avere per i cristiani forme non cristiane di meditazione. La questione riguarda soprattutto i metodi orientali. C'è chi si rivolge oggi a tali metodi per motivi terapeutici: l'irrequietezza spirituale di una vita sottoposta al ritmo assillante della società tecnologicamente avanzata spinge anche un certo numero di cristiani a cercare in essi la via della calma interiore e dell'equilibrio psichico. Questo aspetto psicologico non sarà considerato nella presente Lettera, che intende invece evidenziare le implicazioni teologiche e spirituali della questione. Altri cristiani, sulla scia del movimento di apertura e di scambio con religioni e culture diverse, sono del parere che la loro stessa preghiera abbia molto da guadagnare da tali metodi. Rilevando che, in tempi recenti, non pochi metodi tradizionali di meditazione, peculiari del cristianesimo, sono caduti in disuso, costoro si chiedono: non sarebbe allora possibile, attraverso una nuova educazione alla preghiera, arricchire la nostra eredità incorporandovi anche ciò che le era finora estraneo?
Con l'attuale diffusione dei metodi orientali di meditazione nel mondo cristiano e nelle comunità ecclesiali, ci troviamo di fronte ad un acuto rinnovarsi del tentativo, non esente da rischi ed errori, di fondere la meditazione cristiana con quella non cristiana. Le proposte in questo senso sono numerose e più o meno radicali: alcune utilizzano metodi orientali solo ai fini di una preparazione psicofisica per una contemplazione realmente cristiana; altre vanno oltre e cercano di generare, con diverse tecniche, esperienze spirituali analoghe a quelle di cui si parla in scritti di certi mistici cattolici; altre ancora non temono di collocare quell'assoluto senza immagini e concetti, proprio della teoria buddista sullo stesso piano della maestà di Dio, rivelata in Cristo, che si eleva al di sopra della realtà finita e, a tal fine, si servono di una "teologia negativa" che trascende ogni affermazione contenutistica su Dio, negando che le cose del mondo possono essere una traccia che rinvia all'infinità di Dio. Per questo propongono di abbandonare non solo la meditazione delle opere salvifiche che il Dio dell'Antica e della Nuova Alleanza ha compiuto nella storia, ma anche l'idea stessa del Dio uno e trino, che è amore, in favore di un'immersione "nell'abisso indeterminato della divinità".
Queste proposte o altre analoghe di armonizzazione tra meditazione cristiana e tecniche orientali dovranno essere continuamente vagliate con accurato discernimento di contenuti e di metodo, per evitare la caduta in un pernicioso sincretismo.
Alcuni esercizi fisici producono automaticamente sensazioni di quiete e di distensione, sentimenti gratificanti, forse addirittura fenomeni di luce e di calore che assomigliano ad un benessere spirituale. Scambiarli per autentiche consolazioni dello Spirito Santo sarebbe un modo totalmente erroneo di concepire il cammino spirituale. Attribuire loro significati simbolici tipici dell’esperienza mistica, quando l’atteggiamento morale dell’interessato non corrisponde ad essa, rappresenterebbe una specie di schizofrenia mentale, che può condurre perfino a disturbi psichici e, talvolta, ad aberrazioni morali.
L’unione abituale con Dio, o quell’atteggiamento di vigilanza interiore e di invocazione dell’aiuto divino che nel Nuovo Testamento viene chiamato la “preghiera continua”, non si interrompe necessariamente quando ci si dedica anche, secondo la volontà di Dio, al lavoro e alla cura del prossimo. “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio”, ci dice l’Apostolo (1 Cor 10, 31). La preghiera autentica infatti, come sostengono i grandi maestri spirituali, desta negli oranti un’ardente carità che li spinge a collaborare alla missione della Chiesa e al servizio dei fratelli per la maggior gloria di Dio”.