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I ministeri carismatici nella vita del RnS

Parlando dei ministeri bisogna subito rifarsi a quanto i Vangeliricordano definendo coloro che attendono a un ministero: "servi inutili". Questa definizione non indica soltanto la necessità di dipendere completamente da Dio - per cui, anche quando avremo servito bene, non avremo comunque fatto niente di nostro e per noi - ma individua anche coloro che vogliono servire fuori dal progetto di Dio, perseguendo un'utilità che non mira al fine voluto da Dio stesso. Se la nostra primaria vocazione è alla santità nell'amore, questa si deve esplicitare in un servizio che testimoni sempre il primato di Dio su tutto.

I ministeri, prima che ricondurci alla specificità dei carismi che li sostengono, ci rimandano sempre all’unicità del ministero del servo di Jhwh che opera la salvezza: Gesù, che il Padre ha consacrato con l’unzione e ha inviato per consolare, liberare, guarire l’uomo. Noi aspiriamo al ministero del Figlio, nel quale è fondata la nostra dignità battesimale e la triplice unzione, sacerdotale, profetica e regale, che sorregge la nostra testimonianza e ci associa al ministero di Cristo mediante lo Spirito.

I ministeri tendono alla santificazione di ogni uomo in Cristo. Dal carisma, allora, si passa al ministero, come dall’unzione dello Spirito si passa alla missione. Ogni carisma è per la missione e i ministeri sono l’esplicitazione visibile di questa chiamata divina. Essi vengono da Dio, che sceglie, chiama e manda: potremmo dire che con la chiamata si diventa discepoli, con l’unzione si diventa carismatici, con il ministero assegnato si diventa apostoli, con Cristo si diventa operatori di salvezza.

Possiamo parlare di una carismaticità passiva dei doni e di una carismaticità attiva dei ministeri. Tutto il gruppo è carismatico e ministeriale, in esso non ci sono soltanto alcuni — i leader, per esempio — che "offrono" e altri che "ricevono", ma ciascuno è indistintamente chiamato a offrire e a ricevere, nel servizio reciproco di amore e nella mutua sottomissione dettata dall’uguaglianza della carità.

I ministeri non sono strutture ma elezioni, mandati, missioni, che vengono suscitati dallo Spirito e individuati nella comunità in forza dei carismi che in essa risiedono per l’edificazione incessante della comunità stessa.

I ministeri sono lo specchio della vita comunitaria e si riconducono sempre ai bisogni veri, propri della comunità stessa. Lo Spirito, infatti, li suscita in relazione alle necessità della Chiesa, in ordine al suo progresso o al suo rinnovamento.

I ministeri sono espressioni dell’essere e non del fare; il non comprendere questo aspetto può tradursi in un grande pericolo in cui può incorrere il Rinnovamento, che è quello dell’attivismo, del voler "fare" a tutti i costi, senza discernimento sull’avvio dei ministeri o addirittura il supporto dei carismi di riferimento.

I ministeri non generano la settorializzazione della comunità in ambiti predeterminati; l’elemento più importante, di riferimento, è sempre la comunità e mai i singoli che i ministeri esercitano. Ecco perché i ministeri non sempre sono stabili nelle persone, ma possono esserlo nella comunità, nel senso che trovano altre vie per esprimersi.

I ministeri non sono generati univocamente da programmi predefiniti, preconfezionati, uniformi per tutti, perché tutti facciano le stesse cose. Essi nascono dall’ascolto dello Spirito: il Signore suscita continuamente "visioni" che guidano il suo popolo. La risposta, la concretizzazione della chiamata di Dio si manifesterà in uno o più progetti ministeriali esplicitati a seconda dei tempi, dei bisogni, degli stadi di crescita, dei carismi, delle forze umane che sempre differiscono di comunità in comunità in ragione della fede e della maturità cristiana di chi la compone.
Circa l'avvio dei ministeri, cisono tre elementi da tenere in considerazione:

1) individuare la visione di Dio per la comunità;
2) elaborare il progetto conseguente (modi, tempi, vie) che adempia alla visione;
3) verificare il progetto.

Questi tre aspetti sono fondamentali, ma spesso non vengono presi in considerazione. Quando vengono tralasciati, significa che non abbiamo compreso che si tratta di criteri di sussistenza e di vitalità per la crescita stessa dei ministeri nei nostri gruppi.

Nella vita ministeriale è debole soprattutto la terza fase sopra indicata, quella che ci permette di verificare, sempre alla luce della parola di Dio, se i "frutti" che accompagnano le nostre opere, sono buoni e duraturi. Occorre vigilare nel discernimento fissando tappe e modalità di verifica dei progetti, per vedere se la visione di Dio è ancora chiara, se l’ispirazione iniziale non è stata tradita. Il discernimento e la verifica devono essere costanti all’interno di qualsiasi ministero, sia esso di guida o di animazione e a ogni livello, diocesano, regionale o nazionale.

Nell’ambito dei gruppi questo compito spetta soprattutto al Pastorale di servizio, che continuamente deve porsi in ascolto della voce di Dio, chiedendo allo Spirito la capacità di aprirsi anche alla voce dei fratelli. Da questo genere di ascolto, che è di tipo verticale e orizzontale, dobbiamo escludere l’ascolto della nostra voce e dei nostri bisogni, per evitare che la comunità, i suoi ministeri, le sue attività rispondano a esigenze personali, a desideri di affermazione, di emulazione o di prestigio. Sarebbe gravissimo avviare dei ministeri sulla base di questi presupposti.

La preghiera e l’abbandono a Dio sono le vie più sicure per garantire l’efficacia e l’operatività del ministero. Vogliamo riassumere in sette criteri di fondo quanto qui brevemente accennato, criteri che ci aiuteranno a rispondere dignitosamente e santamente alla chiamata al servizio che Dio ci fa nella vita comunitaria.

1) Ascolto della voce di Dio e della voce dei fratelli. Per realizzare ogni cosa nella comunione e nella sincerità, quest'ascolto è vitale e dovrà protrarsi fino a quando la visione del progetto di Dio non si sarà delineata e, ancora, durante la realizzazione del progetto di Dio.

2) Non avviare ministeri senza che si siano valutate le risorse interne alla comunità. Non basta l’entusiasmo, ma serve la disponibilità concreta di persone che s'impegnino al servizio di Dio e dei fratelli, a partire da una buona dose di sacrificio, di risposte personali e di tempo da offrire al Signore nei fratelli.

3) Ogni ministero deriva da un carisma specifico e, per sussistere, deve contare sull’interazione di più carismi. Spesso ci accorgiamo che un ministero avviato splendidamente comincia a vivere in affanno perché, tendendo a isolarsi, non conta sull’appoggio e sul sostegno di altri carismi e di altri ministeri. Ogni singolo ministero richiama la complementarietà, la compresenza e la corresponsabilità fraterna.

4) Evitare di seguire ispirazioni private o privatistiche. Al discernimento iniziale del Pastorale deve sempre far seguito il discernimento comunitario: lo Spirito di profezia risiede sempre nella comunità e si alimenta della continua "sottomissione dei profeti ai profeti". Non c’è altro modo per verificare se una visione o un’ispirazione proviene da Dio o è personale. Discernimento e sottomissione salvano poi la comunità da derive emotive ed eterodosse.

5) Evitare approssimazioni. Questo significa ostinarsi a far sussistere una realtà quando quel determinato carisma non è più residente nella comunità; può accadere che fratelli a cui era stata concessa una grazia o un carisma particolare si allontanino dai gruppi, oppure che la comunità attraversi un periodo di purificazione o di deserto. Anche in questi casi siamo chiamati a riconoscere e a valutare lo stato del gruppo e ad accettare di fermarci per un tempo di revisione o di silenzio, evitando di continuare a procedere per approssimazione, fuori dalla volontà di Dio. Così come l’origine di ogni attività e programmazione viene da Dio, allo stesso modo dobbiamo essere capaci di individuare un eventuale "momento di sospensione" permesso da Dio.

6) Bisogna tanto perseverare nella preghiera per essere docili a collaborare con lo Spirito, ma è imprescindibile il confronto con la tradizione della Chiesa, con il Magistero della Chiesa, con la sana dottrina per assicurare ai ministeri la loro giusta collocazione teologica ed ecclesiologica nella comunità. È qui inscritto il dovere degli animatori di progredire, senza interruzioni o superficialità, in un serio impegno di formazione specifica. Solo così è possibile "fare discepoli" e preservare la "memoria" della nostra testimonianza carismatica da ogni falso richiamo allo "spirito delle origini".

7) Il giudizio ultimo sui ministeri nella vita della Chiesa spetta ai Pastori chiamati a vigilare sul gregge, ai vescovi delle nostre Chiese. L’obbedienza al discernimento operato dai vescovi sul nostro operato è causa di fecondità nella vita comunitaria e alimenta il cammino di maturità ecclesiale a cui ogni gruppo e il Movimento tutto devono tendere.