"L'infermeria dei raduni RnS a Rimini." 2^ parte

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L’esperienza dell’infermeria di Rimini: un tirocinio pratico per i membri di ATC" (2^PARTE)

 

Abbiamo raccontato, nella prima parte di questo articolo, della nostra esperienza di operatori sanitari quando lavoriamo nell’Infermeria di Rimini, in équipe anche con religiosi/e e consacrati/e.
Tra le righe del nostro racconto sicuramente avrete intuito che, nell’attività terapeutica, la “competenza” non può essere mai disgiunta dalla “compassione” … e questa è una delle missioni affidate ad ATC e confermate da numerose parole profetiche che abbiamo ricevuto nel corso di questi quarant’anni di vita dell’Associazione.

È doveroso, quindi, riflettere su alcuni concetti su cui non possiamo sorvolare e sui quali bisogna avere le idee molto chiare!
Il primo concetto che voglio sottolineare è la differenza… anzi, la contrapposizione che esiste tra la medicina scientifica (basata sulle evidenze scientifiche) e le cosiddette medicine alternative o non convenzionali.
È noto che le medicine alternative, spesso su base esoterica (per questo motivo, a volte, sono molto pericolose per un cristiano), si fregiano dell’appellativo di medicine olistiche, come fosse una medaglia al valore.
Un dato molto strano e allarmante è che, nonostante le grandi scoperte scientifiche avvenute negli ultimi decenni, non si riduce la fetta di persone che si rivolge alle pratiche alternative o addirittura a maghi e fattucchiere… anzi aumenta!
Sapete perché?
Queste pratiche hanno molto successo e sono purtroppo assai gettonate perché chi sta male… soffre, vuole giustamente riacquistare il benessere e la salute e sente la necessità che qualcuno si prenda cura di lui. Cura di lui in quanto persona e non cura del suo organo malato. Voglio dire: non come fa il meccanico quando gli portiamo la macchina che non va più e mette mano soltanto al pezzo rotto. L’impressione che spesso dà la medicina scientifica è che se la malattia di Anna, per esempio, è il diabete, il medico a cui si rivolge Anna affronta quel problema… e inizia una guerra santa contro il diabete! Non che sia sbagliato far questo (non fraintendetemi) … ma non basta!
Questo non soddisfa Anna, perché per lei la sofferenza è aver scoperto che le è arrivata una malattia (il diabete) che purtroppo non guarirà mai, che le imporrà dei grandi sacrifici a tavola e che condizionerà tanti altri aspetti della sua vita…
Eppure la medicina ufficiale e laica riconosce che in Anna c’è una componente psichica oltre che fisica. Perché, allora, il suo medico si è convinto che Anna va curata solo per la glicemia?
Dirò di più: il suo medico si sente appagato ed è orgoglioso di aver abbassato la glicemia …. Ma questo traguardo, purtroppo, non soddisfa affatto Anna che continua invece a “soffrire”.
Ed è qui l’inganno su cui giocano le medicine alternative. Fanno leva sulla delusione di Anna per la medicina scientifica. Questa ha deluso Anna non perché la cura è sbagliata (anzi: è l’unica risposta che è stato dimostrato che funzioni!) ma perché Anna si aspetta ben altro da un bravo terapeuta… molto di più! Anna vive una sofferenza che non si allevia quando la glicemia scende, con la cura, da 300 a 110…
Ascoltate bene queste parole che trovate nella prefazione di un libro di un grande esperto di Medicina Sociale, di Metodologia medica e di Semeiotica:
“La ubriacatura tecnologica degli anni Settanta ed Ottanta ha fatto sì che tutti insieme, medici e non medici, ci narrassimo una bella storia con annesso lieto fine. La storia raccontava che i veloci, incredibili progressi della medicina avrebbero in tempi brevi permesso di prevenire, di diagnosticare, di curare, di guarire tutte le malattie…” (Giorgio Bert – Medicina Narrativa, 2007).
Il risveglio post sbornia ha invece messo in evidenza che ci eravamo illusi! Alla fine degli anni ‘80 e gli inizi degli anni ‘90 ci siamo resi conto che quanto ci eravamo detti soltanto pochi anni prima non rispecchiava affatto la realtà che stavamo vivendo. Ecco come prosegue Bert:
“In verità non sempre il medico è in grado di individuare il guasto… per quanto riguarda, poi, la riparazione, la maggior parte dei guasti, quelli seri almeno, non risulta perfettamente riparabile con restitutio ad integrum ma tutt’al più rabberciabile (io aggiungerei che la maggior parte dei guasti diventano dei difetti “cronici”); inoltre è raro che ci si trovi davanti ad un unico guasto; in genere i guasti sono numerosi e correlati in modo complesso, così che spesso non si sa da dove cominciare e se correggendo qui, danneggiamo là”.
Come reazione a questa tremenda delusione, negli anni ‘90 è nato un movimento che ormai si sta estendendo a macchia d’olio in tutto il mondo medico (ed è già diventato una materia del corso di studi in molte facoltà di medicina in tutto il mondo), che si chiama Medicina Narrativa: si tratta di un approccio nuovo al malato che vuole entrare in maniera trasversale un po’ in tutte le branche delle professioni sanitarie.
Questo progetto di “nuovo approccio” al malato è nato, quindi, non in ambito cristiano ma totalmente laico e scientifico!
La medicina scientifica ha dovuto quindi prendere atto, in questo brusco risveglio degli anni ’90, che non riusciva a dare una risposta adeguata alla sofferenza pur curando bene tante malattie.
Ed ha cercato e sta cercando dei rimedi più completi ed efficaci per Anna (oltre che cercare dei farmaci migliori per il suo diabete!).
Ma a noi, operatori sanitari cristiani, la sofferenza di Anna (che pure, per quanto riguarda il diabete, è curata molto bene) ci ha colti veramente di sorpresa?
Noi, operatori sanitari di ATC, sentendo la storia di Anna e vedendo la sua delusione, non ci siamo veramente resi conto che si sbandierava ai quattro venti la scoperta dell’acqua calda?
Ma la nostra formazione in ambito antropologico cristiano (cioè l’aver ben chiara la visione dell’uomo secondo Dio) non ha inculcato dentro di noi (fino allo sfinimento!) che l’uomo è tridimensionale (corpo + psiche + spirito)? Ma nello stesso tempo non è anche un’unità indissolubile? L’uomo è uno: quando soffre, soffre tutto, non un pezzetto… quando muore, muore una persona, non un suo pezzetto!
L’antropologia cristiana ci dice chiaramente quale deve essere l’approccio alla sofferenza, o meglio l’approccio al malato! Noi sappiamo che non possiamo curare i vari “pezzi” (= organi) dell’uomo... ma dobbiamo curare l’uomo!
Quindi noi dovremmo agire consapevoli che l’uomo è un tutt’uno, che la persona creata da Dio è una ed unica, che non è stato creato da Dio come le automobili sulla catena di montaggio: un assemblaggio di tanti pezzi, aggiunti da vari operai, man mano che avanza la catena!
L’uomo è dunque un’entità indivisibile, anche se vi si possono riconoscere tre componenti di cui noi parliamo anche separatamente, ma solo per comodità didattica.
Ecco dunque le tre componenti:
-dimensione fisica;
-dimensione psichica;
-dimensione spirituale.
E noi sappiamo bene che quando uno dei livelli è malato soffre tutta la persona, perché siamo un tutt’uno.
Allora perché il Medico (questa volta ipotizziamo che sia anche lui cristiano) di Anna le cura soltanto la glicemia e ignora che Anna sta male anche se la glicemia va bene? Perché è molto più facile e sbrigativo abbassare la glicemia che prendere atto che in Anna c’è anche un livello psichico e spirituale!
Se io mi professo operatore sanitario cristiano soltanto a parole, e non metto, ogni volta che avvicino un malato, gli occhiali che me lo fanno vedere nelle sue tre dimensioni, allora io mi comporto alla stessa stregua del medico ateo!
Nel 1993, sotto il suggerimento dello Spirito, ATC iniziò un lungo percorso di formazione antropologica cristiana con due momenti di punta: due settimane di formazione residenziale (a Perugia) con Bernard Dubois e la sua “Comunità delle Beatitudini” di Chateau S. Luc (quella fondata da Philippe Madre).
In quel periodo, grazie a questa formazione, senza che ne prendessi coscienza, cambiarono tante cose nella mia vita, anche professionale!
Una “nuova” visione dell’uomo era entrata dentro di me pian piano e mi spingeva verso questo nuovo modo di guardare il malato. La prima cosa che capii fu che dovevo prendermi cura del malato, non curare la malattia!
L’uovo di Colombo, direte voi… Un atteggiamento mentale radicalmente rovesciato, vi dico!
Da poco sono diventato Istruttore di tecniche rianimatorie dell’American Heart Association. Come nel BLS dobbiamo essere pienamente padroni delle sequenze della rianimazione cardio-polmonare, così l’approccio antropologico cristiano al malato deve scattare in automatico.
E lo Spirito, poi, ha confermato in vari modi, nella mia lunga (43 anni) attività di Medico di Medicina Generale, con segni inequivocabili, che quella era la strada che dovevo percorrere. Qualche esempio pratico?
-Non avevo più la cognizione del tempo che passavo in ambulatorio (tanto che la mia attenzione e disponibilità verso l’ultimo paziente della giornata erano identiche a quelle che avevo avuto verso il primo paziente).
-Quando occorreva più tempo per una situazione particolare mi trovava (lo Spirito) degli “spazi” impensabili per me ed i miei ritmi di lavoro.
-Ogni sei mesi mi mandava qualche giorno a fare un “tirocinio” a Rimini con santi colleghi che mi rinfrescavano le cognizioni antropologiche e mi davano il desiderio di imitarli (ricordo Michele Leonardi, Carla Masti, Don Domenico Pincelli, che ora sono in cielo e intercedono sicuramente per ATC di cui facevano parte).
-Spesso, molto spesso, mi capitava di accompagnare con la mia presenza e la mia preghiera pazienti nel fine vita.
-Facevo, senza stanchezza, orari impossibili.
-Gli altri mi dicevano che mi vedevano cambiato, empatico, e tanti pazienti venivano soltanto per confidarmi tante cose, tanti problemi, per lasciarsi aiutare (magari con la scusa di una cosa banale): Carisma del consiglio….
-La conferma oggi è pressoché continua, mi dicono tutti la stessa frase quando mi incontrano: “Dottore, ci manca!”. Nessuno si ricorda più di belle diagnosi, ma solo di momenti di vicinanza: in una morte, in una difficoltà ecc.
Ma concludiamo con un’osservazione che riguarda l’esperienza dell’Infermeria di Rimini. Vi siete mai chiesti perché centinaia di persone, soprattutto anziane, vengono a misurare la pressione in infermeria, senza magari averne bisogno? Si disinteressano, cioè, dei momenti “forti” della Convocazione, per i quali hanno fatto centinaia di chilometri, per venire in infermeria a misurare la pressione? È perché hanno bisogno di sentirsi ascoltati e accolti dal medico, come avviene nell’Infermeria di Rimini.

Moreno Puccetti
Delegato Regionale per l’Umbria del Ministero di Intercessione e Segretario Nazionale di ATC

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